Introduzione
Questa è una storia che va raccontata, perché parla di donne che hanno saputo trasformare la loro vita, che sono riuscite a mettere in fila, nominare, analizzare ed affrontare le vicende che le avevano provate, che hanno avuto la sapienza di analizzarle, di capire in quali meandri si erano persi i bandoli della propria capacità di autodeterminarsi, a quali livelli era giunta la maledetta capacità di sopportare che le donne apprendono in tutto il loro percorso di autodeterminazione di genere, e quanto la narrazione convenzionale del maschile e del femminile le aveva inchiodate ad un ruolo subalterno, che aveva triturato la loro autostima. Hanno saputo trasformare la loro sofferenza in sapienza, e hanno intrapreso un percorso che le ha condotte a ritrovarsi.
Questa è una storia che racconta, anche, come bisogna sostenere (per davvero) le donne che si imbattono nella violenza di genere, quali strumenti bisogna rendere loro disponibili, che tipo di iniziative e di strumenti debbano essere utilizzati per far sì che l’epifania del cambiamento possa avvenire, non rivittimizzandole ma promuovendole, non scaricando la responsabilità delle istituzioni, del privato sociale, della società civile nell’ipocrita esaltazione della “resilienza” – dote sdrucciola, che finisce con il responsabilizzare persone che, sic et sempliciter, vedono violati i loro diritti umani e civili.
Non si può continuare a considerare la violenza di genere come un’inattesa esplosione di violenza maschile contro donne inermi, incapaci e sciocche.